Chi non conosce l’America non può capire cosa significa una Convention Democratica. Noi italiani siamo abituati, anzi, eravamo abituati ai Congressi dei partiti politici. Ma la Convention Democratica è qualcosa di diverso che non ha paragoni italiani. Di fronte a quel rito collettivo di 5000 delegati che si esprimono unendo dichiarazioni esaltanti a spettacoli veri e propri per ciascun Stato, fa impallidire anche il miglior congresso del Partito Socialista d’epoca Craxiana, come quello di Milano con la Piramide di Filippo Panseca o le migliori Convention di quella Forza Italia degli anni ‘90 che un po’, a dir la verità, il verso alla politica spettacolo americana aveva provato a farlo.
Definiamolo un rito collettivo. Uno spettacolo nello spettacolo della politica americana. Con un fiume di soldi che arriva per portare il proprio candidato a divenire inquilino della Casa Bianca. Secondo le stime del Center for Responsive Politics in uno studio realizzato anche in collaborazione con la Sapienza, il costo è arrivato ormai ai 14 miliardi di dollari. Una finanziaria di discreto livello per il nostro Paese. E se poi si guarda la Convention, un po’ di quella opulenza politica la si vede.
Ma il rito è rito, e dal punto di vista della Comunicazione politica, altri studi spiegano che una Convention ben fatta, con gli interventi giusti, con gli “spettacoli giusti”, nei tempi giusti, può davvero valere dai 3 ai 4 punti in percentuale che, negli Stati in bilico, possono veramente fare la differenza. Ma i tempi sono importanti. E quelli che sono stai scelti, almeno per ora, dai democratici, sembrano addirittura aver messo in un angolo chi invece, di comunicazione, ci capisce davvero tanto: Donald Trump.
Quei tempi stretti che si dicevano addirittura troppo stretti per convincere Joe Biden a mollare la candidatura sembravano davvero troppo stretti. Un po’ come il mezzofondista o il ciclista che deve scegliere il momento giusto per spingere e partire in fuga, lasciando il gruppo o altri atleti dietro di lui. Sembrava davvero tardi è invece, alla fine, i tempi scelti appaiono tempi teatrali quasi perfetti. Al momento non è stato fatto un solo errore. Biden lascia, la Harris è pronta.
I Repubblicani hanno nominato Trump, senza poter fare ora delle scelte diverse, e i democratici – che hanno un regolamento diverso da quello Repubblicano – riescono a cambiare le carte in tavola, uscire dall’angolo del ring in cui erano finiti e tirar fuori il coniglio dal cilindro. Le roll call continuano. Ogni Stato che si esprime sprizza euforia nel pronunciare quel ticket fatto da Harris e Walz. Al secondo giorno di Convention per quei 5000 delegati che hanno ritrovato la voglia di esserci, la vittoria che un mese e mezzo fa sembrava una chimera, oggi sembra davvero a portata di mano.
Ogni Stato la sua musica, in un clima da America’s got talent
La votazione più pop, rock, hiphop e dance della campagna elettorale: è proprio quella andata in scena alla convention Democratica, dove ogni Stato ha annunciato la propria scelta a favore di Kamala Harris, ufficializzando la sua nomina. In un’arena affollata il momento della chiamata di ogni Stato ha offerto una finestra sulla cultura di ognuno. E così è stato con la scelta dei brani musicali, di cui sono stati suonati un accenno, legati agli Stati perché’ luoghi di nascita degli artisti o per un legame o un titolo. Le note di Lady Gaga, con “The Edge of Glory”, hanno introdotto le Samoa Americane. “Don’t stop” dei Fleetwood Mac l’Arkansas. “I won’t back down” di Tom Petty per la Florida. Michael Jackson, con “Don’t stop ’til you get enough”, per l’Indiana. I Kool & the Gang con “Celebration” per l’Iowa. Il Kansas ha annunciato il voto sulle note di Kansas con “Carry on wayward son”.
Michael Jackson scelto dall’Indiana (GettyImages)
Il Michigan con Eminem, il Minnesota ovviamente con Prince, accolto dall’ovazione, Jack Harlow con “First class” per il Kentucky. Toni dance per il Maine con “Shut and dance” dei Walk on the Moon. E ancora: Katy Perry (“Firework”) per il Nebraska, Tilind (“Mr Brightside”) con il Nevada, e il celebre “Don’t stop believin'” dei Journey per il New Hampshire.
Katy Perry scelta dal Nebraska (Reuters)
Bruce Springsteen non poteva mancare con il suo New Jersey e “Born in the Usa”. Ma c’è stato anche spazio per Taylor Swift, il cui brano “Shake it off” è stato utilizzato per introdurre la dichiarazione di voto del Rhode Island. L’Oregon ha scelto John Legend (“Green light”), Portorico “Despasito” di Luis Fonsi. Il South Carolina ha scatenato le danze con James Brown e “Get up sex machine”. E l’ufficializzazione della nomination di Harris è arrivata ballando, in un clima da disco.
Bruce Springsteen, anima del New Jersey (Ansa)